TRACCIA di FABIO MANELLI
Scese dall’auto e inarcò le spalle all’indietro, cercando di alleviare il mal di schiena. Si stropicciò gli occhi carichi di sonno e inspirò l’aria gelida che precedeva l’alba. Infilò a forza una sigaretta tra le labbra raggrinzite. Prima di riuscire a trovare l’accendino tossì così forte che uno degli agenti del cordone si voltò a guardarlo con aria interrogativa. Quando lo riconobbe si girò immediatamente di spalle, fingendosi impegnato. Eugen rimise la sigaretta nel pacchetto stropicciato, che fece scomparire nel giaccone pesante. Un uomo, stempiato e molto più basso di lui, gli corse incontro. Un paio di baffi scuri iniziarono a saltellare.
-Buongiorno Ispettore. Abbiamo una vittima sola. Matei Ionescu, Maschio, 22 anni. Fa la guardia notturna qui, nel castello. Sono venuti a dargli il cambio e l’hanno trovato steso sul pavimento. Mezz’ora fa, più o meno. Non è un bello spettacolo. Ferita da taglio alla gola. Così profonda che quasi lo decapitavano. Uno dei quadri in esposizione è scomparso.-
Eugen tossì nuovamente, passando sotto ad uno dei nastri che delimitavano il perimetro. L’assistente continuò il suo monologo, seguendolo.
-Non ci sono segni di effrazione. Il coroner ha determinato il decesso tra le 23 e mezzanotte. La scientifica deve ancora iniziare i rilievi, come ha richiesto. Abbiamo portato in centrale il ragazzo che ha trovato il corpo, per l’interrogatorio. -
-Potete lasciarlo andare. Non è stato lui.-
-Come dice, Signore?-
-Che non è stato lui. Avrebbe rotto una finestra o simulato uno scassinamento, almeno. Farsi trovare con le mani nel sacco così sarebbe veramente da idioti. E poi manca un quadro, giusto? Lo aveva con sé? Lo ha nascosto qui nel castello? Non credo.-
-Giusto, il quadro. Non ci avevo pensato.-
-Di cosa stiamo parlando? È un’opera di pregio? Il dipinto, intendo.-
-Non lo sappiamo. Stiamo aspettando il curatore. Abita a un’ora di auto da qua, è in viaggio.-
-Dov’è il corpo?-
-Nella stanza a destra subito oltre le scale, Signore. Le faccio strada.-
L’ispettore procedeva a lunghe falcate, osservando tutto l’ambiente circostante. Cercava un dettaglio, un elemento che stridesse con tutto il resto. Ci doveva essere un indizio, da qualche parte. Arrivò davanti alla porta del salone e si fermò sotto una delle fiaccole a muro. Contemplò l’intera stanza. Rimase fermo e in silenzio per una decina di secondi. Forse non respirò nemmeno. Il pavimento di marmo rosato era lucidato a specchio, le pareti erano tappezzate di quadri di ogni forma e dimensione, tranne che in un punto. Al centro della parete di sinistra c’era un vuoto, un alone più chiaro. Sarà stato circa un metro per lato. Il cadavere giaceva supino vicino all’angolo opposto, galleggiando su un’enorme pozza di sangue. La luce delle lampade alogene sui cavalletti illuminava tutto in modo violento, ricacciando ogni ombra nell’inferno da cui era venuta. Visto così sembrava tutto piatto, irreale. Finalmente Eugene trovò ciò che cercava. Tenendo gli occhi fissi sul cadavere fece un paio di passi e sentì il piede slittare in avanti. Rinsaldò la sua posizione e si raggelò. Immobile, incredulo. Com’era potuto accadere? Chinò la testa, per accertarsi dell’errore più grande della sua carriera. Dalla sua scarpa destra, nera e lucidissima, partivano due lunghi segni rosso fuoco. Sangue. Aveva pestato una maledetta chiazza di sangue.
-Cazzo!- Strillò, imbufalito.
Tutti tacquero, molti abbassarono lo sguardo.
-Non rimanga lì impalato, per Dio! Mi dia una busta per le prove!- Gridò all’assistente, che estrasse prontamente un sacchetto trasparente e glielo porse.
Eugen si tolse la lunga scarpa e la infilò nella busta, che la contenne appena. Qualcuno gli passo un calzare sterile, così la calza di filo di scozia scomparve di nuovo. Il pavimento era congelato, ma lui cercò di ignorare quella sensazione. Sentiva gli occhi di tutti addosso. Quanto ci avrebbero messo a sputtanarlo? Dopo 22 anni di onorato servizio la sua carriera sarebbe finita così?
Poco male, dopotutto. In fondo era riuscito nel suo intento. Lasciare quell’orma insanguinata era davvero stata una mossa stupida, dettata dalla fretta o dalla superbia. Per fortuna era stato abbastanza tempestivo ad accorgersene e ad appoggiarci sopra proprio la stessa scarpa che l’aveva lasciata. Prova non ammissibile, Vostro Onore. Nessuno lo avrebbe beccato. Neppure stavolta. Nascose il sorriso dietro al bavero del giaccone, fissando il proprio operato. Uccidere gli era piaciuto.