sabato 29 aprile 2017

Almanacco di Graziella Dimilito del 30 aprile 2017


Ubaldo di Lucia Amorosi del 30 aprile 2017


                                                         UBALDO di Lucia Amorosi


Ubaldo sedeva impietrito davanti alla bara della moglie. Lo sguardo sul cuscino di splendide rose bianche che svettavano come aculei di un istrice. Poi fissava una fascia viola con su scritto “I colleghi con affetto.”
Quando entrava qualcuno lui scattava in piedi, salutava e rispondeva meccanicamente alle frasi di rito. Era un atteggiamento inusuale per un estroverso come lui.
“Piangi, sfogati, vedrai poi ti sentirai meglio”.
Ma Ubaldo non riusciva proprio a lacrimare. Era confuso ma capiva che con la morte di Ada la sua vita aveva imboccato una svolta. Entrò sua cognata e lo inondò come un fiume in piena tra lacrime e parole, inutili e insulse. Cosa blaterava quella cretina? Il vestito? Non gli piace il vestito? Le scarpe, neanche quelle?
“Ada non ha le scarpe!”
Già, che fine avevano fatto le scarpe di Ada? Si diresse negli uffici dell’agenzia funebre, proprio dietro la camera mortuaria.
“Scusate, perché mia moglie non ha le scarpe?”
I due agenti che sedevano uno alla scrivania e l’altro di fronte si guardarono in faccia stupiti, come se avessero sentito una boiata.
“Ieri vi ho consegnato gli abiti per mia moglie e c’erano anche le scarpe, nere con il tacco.”
“Sì, certo.”
Uno dei due si alzò e gli andò incontro.
“Scusi, ho dimenticato di restituirle, ecco sono in questa busta. Mi perdoni, avrei trovato comunque il modo per fargliele avere.”
“Non mi avete capito. Perché mia moglie non le indossa? L’avete messa nella bara senza scarpe.”
“Certo, è così che si usa da queste parti. Pensavamo che lei si fosse confuso consegnandocele.”
“Non conosco questa usanza. Perché seppellire una persona con l’abito migliore e poi lasciarla scalza?”
“Deve capire che ci sono usanze che sono dure a morire. Stupidaggini, però lasciarli senza scarpe gli impedirebbe di andare in giro di notte.”
“E’ assurdo! I morti purtroppo sono morti, e non tornano. Fatemi la cortesia di mettere le scarpe a mia moglie. Grazie.”
“Ma certo, subito.”
Quella sera Ubaldo si ritrovò da solo in casa, ci avrebbe fatto l’abitudine. Si sdraiò sul divano, prese il telecomando e capì di avere finalmente il controllo della situazione. Ecco cosa era cambiato: adesso sarebbe stato libero di scegliere, sia un canale televisivo sia cosa fare della sua vita. Finalmente libero e felice, senza quella scocciatrice a pilotare le sue scelte. Un ticchettio di passi gli fece raggelare il sangue. I passi si avvicinavano e lui con il terrore dentro girò la testa verso quel suono. Ada era lì, davanti a lui, con una bottiglia di spumante in mano e due calici.
“Lo sai perché ti ho sposato tesoro? Perché sei speciale, tu vedi oltre, sai cogliere i particolari. Grazie per le scarpe, ora non ci lasceremo più”il-giallo-della-domenica.

sabato 22 aprile 2017

Almanacco di Graziella Dimilito 23 aprile 2017


SPEARE (lancia) di Salvatore Viscuso 23 aprile 2017



il-giallo-della-domenica

SPEARE (lancia) di Salvatore Viscuso


Lo sfigato del gruppo del bowling.
Mai che riuscisse a buttarli giù con un benedetto strike, quei birilli.
E, difatti, lo chiamavano Speare.
Scarso a giocare e patetico con le donne.
Una frana totale, anche nella vita.
In comitiva, se lo tenevano per condiscendenza, per pietà.
E per sottolineare a se stessi quanto fossero tanto più fighi.
Ma, lui, non mollava. Si dava da fare.
“Ehi, Dolcetto… Ti va uno scherzetto?”
… Stessa solfa, ad ogni Halloween.
Tutti gli anni, tutti i trentuno di ottobre, telefonava alle amiche.
A tutte le sventate impietosite che gli avevano dato il numero di telefono.
E, come sempre, riceveva in risposta la solita risatina, il solito diniego.
Cosa gli fosse scattato dentro, non si seppe mai.
Era la notte dei travestimenti, delle zucche, dell’orrore fasullo.
Come sempre, si trascinava dietro agli altri tra i locali della movida notturna,
così divertente per quei suoi amici brillanti e le amiche piene di fascino.
Era già notte fonda, quando gli chiesero di andare a prendere l’auto:
lo avrebbero aspettato fuori.
Lui obbedì; con la sua solita, pronta docilità.
Alla guida, li vide camminare verso di lui.
Risatine, bacini. Qualche sberleffo indirizzato all’autista.
Capì, allora. E fu in quell’attimo, che smise di sentirsi un birillo.
Mai un dolcetto, per lui.
Gli brillò negli occhi una gioia selvaggia,
nel sentire il suo piede premere l’acceleratore.
E la sua mente fu invasa da una bestiale, elettrica furia.
Stavolta, lo scherzetto, toccava a loro.
Furono occhi increduli, attoniti, terrorizzati, quelli che lo videro.
Che lo guardavano, mentre finalmente realizzava il suo primo strike.

sabato 15 aprile 2017

Paura nel buio di Irene Minuti 16 aprile 2017



                                                PAURA NEL BUIO di IRENE MINUTI

Mura che mi guardano sospette sensazione di rumore. 
Annaspo nel buio mi volto un respiro affannato mi segue, con la forza della paura mi giro all'improvviso e con un colpo secco della mano colpisco. 
Una mano piena di sangue afferra la mia gamba , una voce flebile invoca 
"Aiutami sono stata aggredita"..
Una povera vecchina esanime giace ai miei piedi. In fondo una luce uscirò da questo vicolo se non è cieco.(I.Minuti)

Almanacco di Graziella Dimilito 16 aprile 2017


sabato 8 aprile 2017

Almanacco di Graziella Dimilito 9 aprile 2017


Senza speranza di Marcello Rodi 9 aprile 2017




                                 SENZA SPERANZA di Marcello Rodi

Era stanco. Non aveva più senso svegliarsi ogni mattina con quella fitta lacerante al petto, quel senso di oppressione che gli dava l’idea che non la avrebbe rivista mai più. Non aveva più senso andare a letto la sera, e girarsi e rigirarsi nel talamo che non avrebbe più avuto né dato il calore di quando lei era lì. Non aveva più senso passare le giornate a rintuzzare le lacrime che cercavano una via di uscita, facendo finta con tutti che tutto andava normalmente.
Niente aveva più senso. Così aveva iniziato la sua ricerca, prima sui quotidiani, nelle pagine degli annunci personali: si era trovato più volte in imbarazzo scoprendo che quelli che aveva giudicato idonei al suo scopo in realtà erano normalissimi annunci per vendere o comprare animali, o chissà cosa altro. Allora si era messo alla ricerca su Internet, non sapendo di preciso dove rivolgersi: aveva provato con Google e poi, seguendo quasi una traccia inconscia, era approdato su un forum di appassionati di armi. Lì, non sapendo come comportarsi, aveva passato intere settimane a seguire le discussioni che sembravano più vicine all’argomento per cui era interessato. Poi aveva concentrato la sua attenzione su di un utente particolare, e sui suoi post. Black Panther, la Pantera Nera. Poteva essere? Non lo sapeva, non era in grado di capirlo. Ma decise comunque di rischiare.
Bastarono pochi scambi di messaggi, poi il suo interlocutore misterioso gli diede un indirizzo email e gli scrisse: “Mandami qui i dati e una foto“. Compilò diligentemente una scheda con tutti i suoi dati anagrafici, le sue abitudini e i luoghi che frequentava più spesso. Poi allegò la sua migliore e più recente foto che aveva e spedì tutto con il computer.
Aveva appena fatto di sé un bersaglio.
Si era recato in banca la mattina dopo per effettuare il versamento che Black Panther gli aveva richiesto insieme ai dati e alla foto. Diecimila dollari. Un vero affare.
Era giunto a quella decisione disperata dopo più di un anno. Un anno passato a pensare ai suoi errori, a struggersi nella malinconia dei ricordi, a condannarsi per le scelte sbagliate che lo avevano allontanato per sempre da lei.
Inizialmente aveva creduto che le cose potessero aggiustarsi, aveva scommesso sul loro sentimento, credeva che il tempo avrebbe potuto smussare gli spigoli e riportare tutto nell’ordine naturale delle cose. Si, perché considerava il loro amore come l’ordine naturale delle cose, e ogni giorno che passava era come se per lui l’universo si stravolgesse un po’ di più, allontanandosi dalla sua perfezione. Alla fine si era rivolto alle preghiere.
Cresciuto con una solida educazione religiosa, aveva vissuto la sua vita convinto che intorno a lui ci fossero le persone a lui care pronte a proteggerlo e a salvarlo da qualsiasi minaccia alla sua felicità avesse potuto incontrare lungo il suo cammino. Iniziò a pregare perché costoro lo aiutassero, ma con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi nulla accadeva, e allora subentrò in lui una cupa disperazione acuita dal fatto che lei – l’oggetto del suo amore incondizionato – si rifiutava di vederlo e di parlargli.
Aveva raccolto tutta la sua vita intorno a lei, e adesso semplicemente sentiva di non avere più alcuna vita da vivere. Questa era stata la molla che lo aveva spinto a decidere di morire.
Il problema era che non poteva riuscire a togliersi la vita da solo, non sapeva se per fede o per codardìa, ma probabilmente non gli interessava nemmeno.
Si sentiva solo. Orribilmente, disperatamente, irreparabilmente solo.
Aveva avuto il terrore della solitudine fin da bambino, quando giocando con gli amichetti a mosca cieca si nascose così bene che i suoi compagni di gioco si stancarono di cercarlo e se ne andarono via. Lui, tenacemente, restò nascosto fino al calar della sera, e quando finalmente si decise ad uscire dal suo improvvisato rifugio realizzò che tutti lo avevano abbandonato.
Viveva questa tragedia ogni volta che era costretto dalla vita ad un distacco più o meno definitivo. La morte del padre, la malattia della madre, l’essersi trasferito in un’altra città. Era sempre riuscito ad uscirne dopo qualche mese di disagio e di dolore, ma non quella volta. Quella volta era stato diverso, molto diverso. Aveva vissuto una storia d’amore così intensa che aveva pervaso ogni più intima fibra del suo essere. Le aveva confidato tutto di sé, anche cose che non aveva mai confidato a nessuno prima. Anche la sua paura più remota ed ancestrale: “Ho il terrore di morire da solo“. Sapeva che in fondo si muore comunque da soli, ma desiderava una mano da stringere, uno sguardo in cui perdersi mentre la sua luce si spegneva. E quella risposta: “Non morirai da solo, io sarò sempre con te” lo aveva rassicurato e fatto sentire felice.
Parole, soltanto parole, che si erano perse, che erano state dimenticate, coperte da errori e malintesi, da scelte sbagliate e delusioni che li avevano allontanati, oramai per sempre.
Era senza speranza, senza una vita, senza il suo amore.
Doveva solo aspettare che Black Panther facesse ciò che doveva fare.
Aveva iniziato a frequentare locali, ad aggirarsi di notte per le strade buie, quasi a voler agevolare il contatto con il suo personalissimo angelo della morte. Sapeva che probabilmente era nell’ombra da qualche parte che lo osservava, per poter farsi un’idea delle sue abitudini.
Non gli aveva fatto capire che committente e bersaglio erano la stessa persona, non aveva richiesto un lavoretto “pulito” come un finto incidente o un infarto simulato. L’unica cosa che aveva chiesto era stata che la vittima non dovesse soffrire, una cosa rapida insomma: il dolore non piace a nessuno. Sperava anzi di venire finito per strada o in un luogo pubblico, perché ne parlassero i giornali, perché lei sapesse, nella folle speranza di poterle strappare almeno un’ultima lacrima, quella lacrima che poteva significare ancora un barlume d’amore per lui nel cuore di lei. E poi l’idea di un assassino che violava la sua casa, la casa dove aveva condiviso il suo amore con la sua musa, lo disturbava profondamente.
Ogni volta che udiva un rumore, uno scalpiccìo, una voce alle sue spalle, istintivamente chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro: non aveva fornito alcuna scadenza al sicario, credeva che se avesse saputo la data del suo trapasso sarebbe potuto morire prima dall’ansia mentre il momento si avvicinava. Era oramai passata più di una settimana da quando aveva perfezionato il suo accordo con Black Panther, ed era ancora vivo. Così quella sera, come praticamente tutte le sere che avevano preceduto quella, dopo cena scese al pub che si trovava a due isolati di distanza da casa sua per bere qualcosa ed assaporare quelle che – finalmente – sarebbero state tra le sue ultime ore di solitudine, sofferenza e disperazione. Attraversò il solito lungo vicolo buio ed entrò nel locale. Quello che vide lo lasciò senza fiato.
Lei era lì, seduta al bancone, e guardava verso l’ingresso come se lo stesse aspettando. Era bellissima come sempre, con i suoi capelli neri sciolti sulle spalle, gli occhi di brace che lo avevano fatto innamorare la prima volta che la aveva vista.
Era inguainata in un tubino nero corto, tacchi alti, e un giacchetto azzurro che esaltava la sua carnagione mediterranea. Lui non riusciva nemmeno a respirare per quanto il suo cuore batteva velocemente. Che fare? Ostentare una sprezzante noncuranza? Restare in dignitoso silenzio? Sapeva soltanto che avrebbe voluto gettarsi piangente ai suoi piedi. Ma, imprevedibilmente, fu lei a prendere l’iniziativa.
Ciao. Come stai? Mi sei mancato tanto“.
A quelle parole credette di svenire. Farfugliò qualcosa, confuso, e questo sembrò farla intenerire ancora di più. Gli toccò il braccio, e quel contatto gli trasmise una scarica di adrenalina che lo scosse dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. Fu come si fosse svegliato di soprassalto, e quello che vedeva come un’immagine lontana divenne all’improvviso realtà: iniziò a sentire il suo odore, l’odore della sua pelle che era dolce e vagamente piccante, e ricordò il sapore dei suoi baci, baci perfetti come quelli che si immaginano prima del primo bacio vero della propria vita.
Si sedettero appartati, e parlarono, e bevvero, e risero come lui non rideva da tempo mentre si beava del suo volto, della sua voce, del suo tocco delicato.
E, alla fine, lui pagò il conto, si alzarono ed uscirono per tornare a casa.
Per fare prima, imboccarono il solito vicolo.
Camminarono abbracciati per qualche metro, poi giunti in un punto un po’ più scuro lui si fermò, preso dall’irrefrenabile desiderio di baciarla. I loro volti si avvicinarono lentamente, le labbra dischiuse in una promessa. Il suo cuore batteva all’impazzata, mentre lei gli mise la sua mano sul collo, dietro la nuca.
Era così felice che quasi non si accorse di morire.
L’anello di lei gli iniettò nel collo una dose concentrata di una miscela composta da malonilurea, pancuronio e cloruro di potassio: la stessa usata per l’iniezione letale. Lui cadde a terra svenuto, con il diaframma paralizzato e in arresto cardiaco: condizione favorita anche dalla cena abbondante e dal grande quantitativo di alcol ingerito con lei al pub. Morì incosciente in pochi secondi.
Ti è costato molto farlo?“: una figura maschile che brandiva una pistola con silenziatore uscì dall’oscurità, avvicinandosi a lei e al corpo di lui.
Niente affatto” rispose lei, guardandolo con sguardo lontano, quasi assente, come se avesse appena avuto un orgasmo. “Certo la vita è strana: quando qualche giorno fa ti ho conosciuto, non avrei mai potuto immaginare che ti avrei dovuto dimostrare il mio amore in questo modo. E poi almeno lui è morto felice“.
Sei brava: sembri nata per questo lavoro. Se seguirai i miei consigli diventerai una vera maestra” disse lui.
Non chiedo di meglio, amore” rispose lei sorridendo in modo strano.
Lui alzò la pistola e sparò due colpi al petto, poi la finì con un terzo colpo al capo.
E magari poi avresti voluto il mio posto” chiosò Black Panther, allontanandosi nella notte.

sabato 1 aprile 2017

Social Network di gerardina Rainone 2 aprile 2017



SOCIAL NETWORK di Gerardina Rainone

Dalila era come sempre al pc quel giorno. Ormai era diventato un appuntamento fisso quello delle 20,00 e non mancava di salutare i suoi amici del social. Molti le chiedevano l’amicizia da quando aveva deciso di uscire dall’anonimato e aveva messo la sua foto invece di un’icona, ma lei era prudente e accettava solo amici fidati. Quello che le avevano raccontato su falsi profili, furti di identità e cose del genere le era bastato per non voler correre rischi. Non era una sprovveduta e cancellava ripetutamente alcuni utenti insistenti e invadenti, bloccandoli dopo un po’. La sua amica Valeria, appassionata di animali come lei, le mandava le faccine buffe, ma tra un messaggio di saluti e l’altro le inviò la foto della sua nuova fiamma. Un bel ragazzo, occhi verdi, sorriso accattivante, tale Danilo. Dalila esordì dicendo che quella era la foto del suo ragazzo, mandando su tutte le furie Valeria.
“Impossibile mia cara. L’ho conosciuto su Fb e non c’è tra le tue amicizie”, ribattè Valeria. Posso presentartelo però,se mi prometti di fare la brava”. Ecco la Valeria che conosceva, Dalila sorrise. Ma come mai non le aveva detto nulla di questa storia?
”Quando lo hai conosciuto?”
La cosa era curiosa, visto che si sentivano tutti i giorni raccontandosi la giornata. Valeria rispose che voleva prima essere sicura ed era frastornata da lui.
”Pensa che abita nella mia zona, non trovi che sia fantastico?”
Dalila le inviò per tutta risposta un suo verso:
– rosso come l’amore, come antico dolore, che non ho mai capito, ma che i sogni ha rapito -.
”E questo da dove salta fuori? Sei il solito vulcano di idee” – scrisse Valeria.
”e’nuovo di zecca,ti piace?”
Dalila volle sapere tutto di Danilo, non la convinceva questa cosa. Valeria si sottrasse adducendo scuse e si dedicò a postare come al solito le sue poesie sul gruppo. Anche Dalila aveva da fare e dimenticò la faccenda. Al mattino la prima cosa che faceva era accendere il pc, un saluto rapido e poi al lavoro. C’era sempre Serena in linea, sembrava onnipresente quella donna, come facesse era un mistero per Dalila dato che aveva tre figli da seguire e un marito geloso, ma se mancava di salutarla si inalberava . Tra i messaggi ne trovò uno di una certa Marisa che le diceva :
“Ciao, sei bella”.
Non la conosceva e pensò ad un errore. Andò al lavoro ma dal cellulare teneva d’occhio i messaggi, quella tipa continuava a cliccare apprezzamenti sui suoi post. Nei giorni seguenti Marisa le chiese l’amicizia, avevano in comune alcuni amici e le sembrò naturale accettare. Da allora cominciò una fitta conversazione sugli stili di prosa e metrica. Marisa scriveva proprio come Dalila, ma a differenza di questa inondava il web coi suoi scritti. Lei era insistente, voleva conoscerla a tutti i costi e la invitò alla presentazione di un libro. Dalila ci andò, ma Marisa non fu presente. Quella sera fu avvicinata da un tipo di mezza età, bella presenza, gentile. Disse di conoscerla dai suoi scritti , che apprezzava per le tematiche trattate, anche complicate e spigolose ma espresse con arguzia e sensibilità. Si sa che il web è una grande vetrina, dove ognuno riversa le proprie manie, fobie ed esprime parte del mondo interiore, come del resto faceva anche lei, ma non pensava di piacere sul serio.L’unica che fino ad allora le diceva sempre meraviglie dei suoi scritti era Valeria. Complice una telefonata a cui il tipo rispose, Dalila si congedò dal suo fan. Marisa in quel momento si fece viva con un messaggio, si scusò per il contrattempo che le aveva impedito di essere presente. Dalila fece ritorno a casa dove l’attendeva Cris, il suo labrador, per la passeggiata serale. Nel parco dove era solito recarsi quella sera c’erano poche persone, Cris come al solito la trascinava in ogni dove, rischiò anche di farla cadere mentre si lanciava all’inseguimento di un gatto. Lei lo trattenne dall’attraversare l’incrocio ma una macchina in partenza nella carreggiata opposta attirò la sua attenzione. Il conducente sembrava somigliare a qualcuno, sì, sembrava proprio Federico. Nei giorni successivi ricevette diversi messaggi al limite dell’adulazione, Federico non mancava di inviarle saluti e foto delle sue giornate. Dalila non aveva sempre il tempo e la voglia di rispondere, a volte si limitava ad un tiepido ciao. Lui cominciò a lamentarsi di essere trascurato, la invitò più volte a mostrare qualche foto e Dalila gli inviava quelle del suo cane. Anche Valeria aveva tra i suoi contatti Federico, ma non la tampinava come faceva con lei. Ormai se lo ritrovava a tutte le ore presente sul social e se ne lamentò con Marisa e Valeria . Di notte, a volte, lui le mandava fiori e foto di paesaggi, frammenti di suoi scritti che avevano per tema l’amore; la chiamava la sua Musa. Marisa si incaricò di raccogliere informazioni su Federico, ma quelli del gruppo sembravano conoscerlo poco. Valeria, senza mezzi termini, le consigliò di bloccarlo. Le inviò la partecipazione ad un concorso che metteva in palio una pubblicazione gratuita e la distolse momentaneamente dal suo cruccio.
Dalila si appassionò e preparò una silloge di scritti.In realtà non partecipava volentieri ai concorsi, ma le ultime poesie che aveva scritto le piacevano molto e si decise ad aderire. Grande fu l’entusiasmo quando le notificarono la vittoria, dovuta anche ai like degli amici e conoscenti. Anche Valeria aveva raccolto consensi ma non quanto quelli di Dalila. Si congratulò con lei, Valeria, ma i commenti salaci sulla vittoria dell’amica e le insinuazioni circa i motivi più estetici che poetici, avvelenarono un clima già da tempo pesante tra loro due. Solo Marisa intervenne in suo aiuto, ricordando a Valeria che la vittoria era scaturita soprattutto dalla scelta della commissione, che aveva premiato una cadenza sussurrata e ricca di sfumature, mentre lei risultava un po’ troppo convenzionale, soprattutto nella scelta delle chiuse. Valeria non si lasciò smontare però, e attaccò di nuovo lamentando una certa ostentazione da parte di Dalila, che sbandierava ai quattro venti senza eleganza, secondo lei, la sua vittoria. Ormai era guerra dichiarata tra le due. Pensare che Dalila aveva abbandonato in parte la vita reale per Valeria e il social. Tutto questo le faceva male, mai avrebbe pensato ad una tale reazione da parte sua, inspiegabile ,anche per le menzogne che andava diffondendo sul suo conto , facendola apparire come una mangiauomini capace di sottrarre il ragazzo all’amica più cara. Tutta questa bagarre ebbe il suo effetto, alcuni la cancellarono senza apparente motivo dalle loro amicizie. Dalila si sentiva ferita, Valeria non poteva sapere che Danilo ci aveva provato in tutti i modi con lei, inviandole anche foto osè, ma aveva taciuto e bloccato nei messaggi per non offenderla. L’unica a consolarla resta Marisa, a cui confida di essere davvero preoccupata per questo Federico, che è sicura di aver visto gironzolare ancora nei paraggi della sua casa. Marisa la invitò ad uscire:
”Ti devi assolutamente distrarre, vediamoci stasera nel parco. Tra l’altro ti devo parlare proprio di Federico, sai penso che in fondo ti sbagli sul suo conto. Ti darò prova che è solo invaghito di te.”
Dalila avrebbe voluto tanto accettare, ma la sua sciatica la costrinse a rimandare. Fu Valeria che la contattò, aveva ripensato a tutta quella faccenda, mandato a monte la sua storia con il bel Danilo, di cui aveva scoperto la vera natura di farfallone impenitente e voleva recuperare la loro amicizia. Per farsi perdonare si offrì di portare fuori Cris, e non era cosa da poco destreggiarsi con quel terremoto di cane. Dalila non si fece pregare, le chiese, anzi, di occuparsi di Cris anche la sera successiva, quando si sarebbe dovuta assentare per un incontro. Marisa la messaggiò dandole appuntamento al parco vicino casa, ma la notizia che ci sarebbe stato anche Federico la lasciò senza parole. Scrisse un messaggio di rinuncia, ma poi cancellò. Era decisa ad andare fino in fondo e inviò solo il pollice in su. Arrivò trafelata all’incontro, per il ritardo di Valeria a cui affidare Cris, ma non trovò nessuno. Si era seduta sulla panchina ad attendere quando lo vide sbucare da una siepe, un grosso fascio di fiori lo precedeva e con un largo sorriso Federico la salutò. Dalila era un po’ imbarazzata, chiese di Marisa e lui farfugliò qualcosa su un imprevisto accomodandosi al suo fianco. La serata era calda ma il parco era quasi vuoto data l’ora tarda, abbozzò anche lei un mezzo sorriso ma si alzò di scatto quando lui si avvicinò suadente. La mano era già sul cellulare,
”Scusa, ho caldo” – disse Dalila mentre digitava un messaggio a Marisa.
Sul suo volto si dipinse lo stupore, il cicalino proveniva dal cellulare di Federico. Si illuminò il display con il volto di Marisa su quello dell’uomo. Scattò come una molla a cui è stata data la corda, lui però fu lesto a rincorrerla. Dalila urlò mentre correva, aveva compreso che non esisteva nessuna Marisa, lui la acciuffò presto e la spinse sul prato tentando goffamente di baciarla, era perduta. Ma mentre si dibatteva sentì forte e chiaro l’abbaiare del suo labrador, Valeria arrivò all’istante trascinata da Cris e per poco non rovinò addosso all’uomo. Federico si profuse in scuse poco credibili, ma Cris lo azzannò ad un polpaccio e Dalila dovette trascinarlo via per evitare che lo sbranasse. Valeria chiamò la polizia, mentre lui si tratteneva la gamba e scoprirono che il tipo non era nuovo a queste vicende, avendo stolcherizzato diverse donne negli ultimi mesi. Di sicuro non avrebbe più dato fastidio a lei.
Gerardina Rainone 7/4/2016

Almanacco di Graziella Dimilito 2 aprile 2017