SENZA SPERANZA di Marcello Rodi
Era stanco. Non aveva più senso svegliarsi ogni
mattina con quella fitta lacerante al petto, quel senso di oppressione che gli
dava l’idea che non la avrebbe rivista mai più. Non aveva più senso andare a
letto la sera, e girarsi e rigirarsi nel talamo che non avrebbe più avuto né
dato il calore di quando lei era lì. Non aveva più senso passare le giornate a
rintuzzare le lacrime che cercavano una via di uscita, facendo finta con tutti
che tutto andava normalmente.
Niente aveva più senso. Così aveva iniziato la sua ricerca, prima sui
quotidiani, nelle pagine degli annunci personali: si era trovato più volte in
imbarazzo scoprendo che quelli che aveva giudicato idonei al suo scopo in
realtà erano normalissimi annunci per vendere o comprare animali, o chissà cosa
altro. Allora si era messo alla ricerca su Internet, non sapendo di preciso
dove rivolgersi: aveva provato con Google e poi, seguendo quasi una traccia
inconscia, era approdato su un forum di appassionati di armi. Lì, non sapendo
come comportarsi, aveva passato intere settimane a seguire le discussioni che
sembravano più vicine all’argomento per cui era interessato. Poi aveva
concentrato la sua attenzione su di un utente particolare, e sui suoi post.
Black Panther, la Pantera Nera. Poteva essere? Non lo sapeva, non era in grado
di capirlo. Ma decise comunque di rischiare.
Bastarono pochi scambi di messaggi, poi il suo interlocutore misterioso gli
diede un indirizzo email e gli scrisse: “Mandami qui i dati e una foto“.
Compilò diligentemente una scheda con tutti i suoi dati anagrafici, le sue
abitudini e i luoghi che frequentava più spesso. Poi allegò la sua migliore e
più recente foto che aveva e spedì tutto con il computer.
Aveva appena fatto di sé un bersaglio.
Si era recato in banca la mattina dopo per
effettuare il versamento che Black Panther gli aveva richiesto insieme ai dati
e alla foto. Diecimila dollari. Un vero affare.
Era giunto a quella decisione disperata dopo più di un anno. Un anno passato a
pensare ai suoi errori, a struggersi nella malinconia dei ricordi, a condannarsi
per le scelte sbagliate che lo avevano allontanato per sempre da lei.
Inizialmente aveva creduto che le cose potessero aggiustarsi, aveva scommesso
sul loro sentimento, credeva che il tempo avrebbe potuto smussare gli spigoli e
riportare tutto nell’ordine naturale delle cose. Si, perché considerava il loro
amore come l’ordine naturale delle cose, e ogni giorno che passava era come se
per lui l’universo si stravolgesse un po’ di più, allontanandosi dalla sua
perfezione. Alla fine si era rivolto alle preghiere.
Cresciuto con una solida educazione religiosa, aveva vissuto la sua vita
convinto che intorno a lui ci fossero le persone a lui care pronte a
proteggerlo e a salvarlo da qualsiasi minaccia alla sua felicità avesse potuto
incontrare lungo il suo cammino. Iniziò a pregare perché costoro lo aiutassero,
ma con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi nulla accadeva, e
allora subentrò in lui una cupa disperazione acuita dal fatto che lei –
l’oggetto del suo amore incondizionato – si rifiutava di vederlo e di
parlargli.
Aveva raccolto tutta la sua vita intorno a lei, e adesso semplicemente sentiva
di non avere più alcuna vita da vivere. Questa era stata la molla che lo aveva
spinto a decidere di morire.
Il problema era che non poteva riuscire a togliersi la vita da solo, non sapeva
se per fede o per codardìa, ma probabilmente non gli interessava nemmeno.
Si sentiva solo. Orribilmente, disperatamente,
irreparabilmente solo.
Aveva avuto il terrore della solitudine fin da bambino, quando giocando con gli
amichetti a mosca cieca si nascose così bene che i suoi compagni di gioco si
stancarono di cercarlo e se ne andarono via. Lui, tenacemente, restò nascosto
fino al calar della sera, e quando finalmente si decise ad uscire dal suo
improvvisato rifugio realizzò che tutti lo avevano abbandonato.
Viveva questa tragedia ogni volta che era costretto dalla vita ad un distacco
più o meno definitivo. La morte del padre, la malattia della madre, l’essersi
trasferito in un’altra città. Era sempre riuscito ad uscirne dopo qualche mese
di disagio e di dolore, ma non quella volta. Quella volta era stato diverso,
molto diverso. Aveva vissuto una storia d’amore così intensa che aveva pervaso
ogni più intima fibra del suo essere. Le aveva confidato tutto di sé, anche cose
che non aveva mai confidato a nessuno prima. Anche la sua paura più remota ed
ancestrale: “Ho il terrore di morire da solo“. Sapeva che in fondo si
muore comunque da soli, ma desiderava una mano da stringere, uno sguardo in cui
perdersi mentre la sua luce si spegneva. E quella risposta: “Non morirai da
solo, io sarò sempre con te” lo aveva rassicurato e fatto sentire felice.
Parole, soltanto parole, che si erano perse, che erano state dimenticate,
coperte da errori e malintesi, da scelte sbagliate e delusioni che li avevano
allontanati, oramai per sempre.
Era senza speranza, senza una vita, senza il suo amore.
Doveva solo aspettare che Black Panther facesse ciò che doveva fare.
Aveva iniziato a frequentare locali, ad aggirarsi
di notte per le strade buie, quasi a voler agevolare il contatto con il suo
personalissimo angelo della morte. Sapeva che probabilmente era nell’ombra da
qualche parte che lo osservava, per poter farsi un’idea delle sue abitudini.
Non gli aveva fatto capire che committente e bersaglio erano la stessa persona,
non aveva richiesto un lavoretto “pulito” come un finto incidente o un infarto
simulato. L’unica cosa che aveva chiesto era stata che la vittima non dovesse
soffrire, una cosa rapida insomma: il dolore non piace a nessuno. Sperava anzi
di venire finito per strada o in un luogo pubblico, perché ne parlassero i
giornali, perché lei sapesse, nella folle speranza di poterle strappare almeno
un’ultima lacrima, quella lacrima che poteva significare ancora un barlume
d’amore per lui nel cuore di lei. E poi l’idea di un assassino che violava la
sua casa, la casa dove aveva condiviso il suo amore con la sua musa, lo
disturbava profondamente.
Ogni volta che udiva un rumore, uno scalpiccìo, una voce alle sue spalle,
istintivamente chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro: non aveva fornito
alcuna scadenza al sicario, credeva che se avesse saputo la data del suo
trapasso sarebbe potuto morire prima dall’ansia mentre il momento si
avvicinava. Era oramai passata più di una settimana da quando aveva
perfezionato il suo accordo con Black Panther, ed era ancora vivo. Così quella
sera, come praticamente tutte le sere che avevano preceduto quella, dopo cena
scese al pub che si trovava a due isolati di distanza da casa sua per bere
qualcosa ed assaporare quelle che – finalmente – sarebbero state tra le sue
ultime ore di solitudine, sofferenza e disperazione. Attraversò il solito lungo
vicolo buio ed entrò nel locale. Quello che vide lo lasciò senza fiato.
Lei era lì, seduta al bancone, e guardava verso
l’ingresso come se lo stesse aspettando. Era bellissima come sempre, con i suoi
capelli neri sciolti sulle spalle, gli occhi di brace che lo avevano fatto
innamorare la prima volta che la aveva vista.
Era inguainata in un tubino nero corto, tacchi alti, e un giacchetto azzurro
che esaltava la sua carnagione mediterranea. Lui non riusciva nemmeno a
respirare per quanto il suo cuore batteva velocemente. Che fare? Ostentare una
sprezzante noncuranza? Restare in dignitoso silenzio? Sapeva soltanto che avrebbe
voluto gettarsi piangente ai suoi piedi. Ma, imprevedibilmente, fu lei a
prendere l’iniziativa.
“Ciao. Come stai? Mi sei mancato tanto“.
A quelle parole credette di svenire. Farfugliò qualcosa, confuso, e questo
sembrò farla intenerire ancora di più. Gli toccò il braccio, e quel contatto
gli trasmise una scarica di adrenalina che lo scosse dalla punta dei piedi alla
cima dei capelli. Fu come si fosse svegliato di soprassalto, e quello che
vedeva come un’immagine lontana divenne all’improvviso realtà: iniziò a sentire
il suo odore, l’odore della sua pelle che era dolce e vagamente piccante, e
ricordò il sapore dei suoi baci, baci perfetti come quelli che si immaginano
prima del primo bacio vero della propria vita.
Si sedettero appartati, e parlarono, e bevvero, e risero come lui non rideva da
tempo mentre si beava del suo volto, della sua voce, del suo tocco delicato.
E, alla fine, lui pagò il conto, si alzarono ed uscirono per tornare a casa.
Per fare prima, imboccarono il solito vicolo.
Camminarono abbracciati per qualche metro, poi
giunti in un punto un po’ più scuro lui si fermò, preso dall’irrefrenabile
desiderio di baciarla. I loro volti si avvicinarono lentamente, le labbra
dischiuse in una promessa. Il suo cuore batteva all’impazzata, mentre lei gli mise
la sua mano sul collo, dietro la nuca.
Era così felice che quasi non si accorse di morire.
L’anello di lei gli iniettò nel collo una dose concentrata di una miscela
composta da malonilurea, pancuronio e cloruro di potassio: la stessa usata per
l’iniezione letale. Lui cadde a terra svenuto, con il diaframma paralizzato e
in arresto cardiaco: condizione favorita anche dalla cena abbondante e dal
grande quantitativo di alcol ingerito con lei al pub. Morì incosciente in pochi
secondi.
“Ti è costato molto farlo?“: una figura maschile che brandiva una
pistola con silenziatore uscì dall’oscurità, avvicinandosi a lei e al corpo di
lui.
“Niente affatto” rispose lei, guardandolo con sguardo lontano, quasi
assente, come se avesse appena avuto un orgasmo. “Certo la vita è strana:
quando qualche giorno fa ti ho conosciuto, non avrei mai potuto immaginare che
ti avrei dovuto dimostrare il mio amore in questo modo. E poi almeno lui è
morto felice“.
“Sei brava: sembri nata per questo lavoro. Se seguirai i miei consigli diventerai
una vera maestra” disse lui.
“Non chiedo di meglio, amore” rispose lei sorridendo in modo strano.
Lui alzò la pistola e sparò due colpi al petto, poi la finì con un terzo colpo
al capo.
“E magari poi avresti voluto il mio posto” chiosò Black Panther,
allontanandosi nella notte.