IL SIGNOR SINDACO di Lucia Amorosi
“Comincia col chiamarmi Sindaco, anzi, Signor
Sindaco!”
L’uomo corpulento aveva seguito il ragazzino, da fuori scuola fino al
primo vicolo deserto, adesso gli stringeva un polso e parlava con voce fredda e
sommessa.
“Mi spieghi che cacchio ci facevi ieri sera in casa mia?”
“Non ti
conosco! Lasciami, mi fai male!”
“Ti ho visto saltare dalla finestra. La casa
era a soqquadro, ma non hai rubato nulla.”
“Tu sei pazzo, adesso urlo così la
pianti.”
Il Signor Sindaco allentò la presa, non era certo il caso di creare
argomenti di chiacchiere in quel maledetto paese. Sul suo conto ce ne erano
state sempre fin troppe, e non tanto per il suo discutibile operato, quanto per
le sue scappatelle, che avevano prodotto un cospicuo numero di cittadini
cornuti, a partire da sua moglie. “Senti ragazzino sto perdendo la pazienza. Tu
sei entrato in casa mia solo per mettere disordine? Chi ti ha mandato? Cosa
cercavi?”
Ma la risposta se l’era già data da solo: un marito geloso che
cercava prove per far scoppiare uno scandalo, ricattarlo, rovinargli la bella
vita e la carriera politica. Uno squillo di tromba fece trasalire i due, il
cellulare del Signor Sindaco intonò l’Aida. Sul display il nome della sua
ultima amante, Eva, giunonica e focosa, vedova del maresciallo Reti, bisognosa
di affetto. Diventata troppo assillante riusciva a farlo innervosire per un
nonnulla. Bisognava mollarla.
“Eva ho da fare, ti richiamo. Sì dimmi, veloce.
Quali orecchini? Ma se non sei mai stata in casa mia! Li avrai persi da qualche
altra parte. Non insistere!”
Il Signor Sindaco chiuse la conversazione dapprima
con aria urtata, poi come colpito da una rivelazione, da una inaspettata
epifania, rivolse lo sguardo all’espressione indisponente del malandrino, che
sorrideva. “Come ti chiami?”
“Pietro Reti. Signor Sindaco.”
Il ragazzino non
cercava prove, le creava. Andò via spolverandosi le braccia, con una evidente
aria soddisfatta, e lasciando il povero Signor Sindaco alle prese con una
avvincente caccia al tesoro.