sabato 18 marzo 2017

Notte di pioggia di Angelo Fabbri 19 marzo 2017



NOTTE DI PIOGGIA di Angelo Fabbri
Piove.
L’acqua scende dal cielo come una cascata, i tergicristalli quasi non riescono a spazzare il vetro. Per fortuna sono al caldo e non devo più uscire dalla macchina se non per entrare in casa, ma ho il cancello ad apertura automatica, quindi una corsa e via.
I lampi si alternano ai tuoni, è un vero temporale, non c’è nessuno in giro. Incontro rari fari che m’incrociano la strada, ma nessuno che vada nella mia direzione.
Il fondovalle è liquido, rido della mia definizione. E’ vero ho bevuto un po’ troppo e fumato qualcosa, ma eravamo tra amici, una bella serata. Rilassante.
Si, sono rilassato, quasi mi diverto ad entrare forte nei laghi d’acqua e sollevare alti spruzzi che ricadono sui prati intrisi d’acqua o contro i muri delle poche case.
Mi sembra persino di sentire il rumore del fiume, giù in basso, ma so che è impossibile. Però ascolto il rombo del motore che grida forte quando scalo le marce per affrontare le curve quasi in derapata. E’ pericoloso ma sto attento, conosco bene la strada e i punti da prendere piano sono due, forse tre, il resto si può fare come si vuole, altro che cinquanta all’ora!
Prendo la curva del distributore rallentando appena e poi accelerando di brutto: è fantastica la sensazione delle ruote che mordono l’asfalto…
BANG!
Un botto tremendo, cosa è stato? Ho visto volare qualcosa per aria, cosa c’era sul bordo della strada? Rallento e accosto. Non vedo niente, ma sarò due o trecento metri dopo il punto in cui ho picchiato. Faccio retromarcia, piano, continua a piovere che dio la manda. Mi fermo, scendo dalla macchina e guardo i danni: un fanale distrutto, il paraurti, il cofano, anche il parabrezza è scheggiato perché il tetto della vettura è leggermente schiacciato nella parte anteriore. La pioggia sta lavando via le macchie, ma ci passo la mano sopra e la ritiro rossa. Sangue.
Guardo indietro e vedo in lontananza qualcosa sull’asfalto, saranno cento metri indietro.
Un fagotto, un mucchio di stracci. Torno indietro a piedi, ormai sono completamente fradicio, fino ad arrivare sul luogo dell’incidente. Allora la vedo.
Una donna, pantaloni neri, camicia bianca sotto un impermeabile chiaro, aperto. Ha perso le scarpe nell’urto, sono volate lontano, una è quasi a metà strada dalla mia macchina.
Ma cosa ci faceva lì? Vedo un ombrello schiacciato, stava camminando a bordo strada.
Non l’ho vista. Con quest’acqua non potevo…
Non si muove. Sotto il suo capo c’è una larga macchia di sangue mischiata all’acqua, ma il sangue è più denso, non va via. Forse c’è anche materia cerebrale, non capisco.
E’ morta, l’ho uccisa!
Dio mio, ora cosa faccio? Se arrivano i carabinieri mi fanno il test e trovano che ho bevuto e fumato. Mi rovinano, finisco in galera.
Mi guardo intorno, non c’è nessuno, non sono passate automobili da quando l’ho investita.
E’ un attimo, corro verso la mia macchina con quanto fiato ho in corpo, salto su, ingrano e scappo. Arrivo a casa senza altri problemi, entro in garage, spengo il motore.
Non so quanto tempo resto così, immobile, bagnato fino al midollo, ma infine riesco ad alzarmi, a rientrare in casa. Mi faccio una doccia che non finisce più, cerco di lavarmi dalla mente quello che è successo ma so che è impossibile, Ci vorranno anni, se mai ci riuscirò.
Ad un certo punto della notte vado a dormire, ma naturalmente non riesco a prendere sonno. Prendo una, due, tre pastiglie di Tavor, e alla fine cado in una specie di trance.
Mi risveglio in tarda mattinata. Non è un problema, è sabato. Per qualche istante spero che non sia successo niente, poi vedo i miei vestiti bagnati ai piedi del letto e mi rendo conto che è tutto vero. Mi alzo, mi lavo, mi guardo allo specchio. Ho la solita faccia, non quella di un assassino. Non è stata colpa mia, era buio, pioveva.
Ero ubriaco, fumato, andavo forte.
Non riesco a fare colazione, vado al bar. Scendo in garage a guardare la macchina: non ci sono segni di sangue, il tragitto sotto la pioggia ha lavato via tutto, ma i danni sono evidenti. Non posso usarla né portarla a riparare, chissà quando potrò farlo. Non è importante, semmai ne comprerò un’altra e questa la terrò al chiuso, tanto non frequento mai nessuno e non ci faranno caso, poi l’auto la uso così poco!
Raggiungo il bar, ordino un cappuccio e prendo una brioche, poi sbircio il giornale. In prima pagina la notizia:
TRAGICO INVESTIMENTO SULLA STATALE!
Più sotto: IL PIRATA DELLA STRADA E’ FUGGITO.
E ancora, in caratteri più piccoli:
«Stanotte un pirata della strada ha investito una donna in prossimità di …, mentre nella zona infuriava un violento temporale. L’investitore, si presume alla guida di una vettura, non si è fermato a prestare soccorso e si è diileguato, approffittando del maltempo e dello scarso traffico. Carabinieri e Polizia stanno effettuando le ricerche. La vittima, che è deceduta sul colpo, si chiamava Maria Annunziata Parri, aveva quarantasei anni e lascia il marito e due figli. Dalle prime indagini pare che stesse rientrando a casa dopo una serata passata a giocare a carte da un’amica, tale…»
Non hanno elementi, nessuno ha visto niente, altrimenti sarebbero già risaliti a me.
Mi dispiace per quella poveretta e i suoi familiari, per fortuna non li conoscevo. Forse, se sto attento, posso ancora cavarmela. Forse.
E’ passato quasi un anno, nessuno mi ha trovato. Le prime settimane sono state le più brutte: mi svegliavo di notte sentendo i carabinieri bussare alla mia porta. Poi pian piano gli incubi si sono diradati, anche se non sono più riuscito a dormire senza sonniferi.
La macchina non l’ho fatta riparare. Non ho voluto rischiare. Quando me la sono sentita sono andato su a Cuneo a comprarne una uguale, usata. La mia l’ho demolita pezzo a pezzo, in parte smontandola in parte tagliando la carrozzeria con il cannello, e ho smaltito tutto un poco alla volta. I documenti naturalmente li ho tenuti, continuerò a pagare il bollo, pazienza, me lo merito, mi è andata anche troppo bene.
E’ passato quasi un anno, ho finito per riprendere le vecchie abitudini, qualche serata con gli amici, il bar, una partita a carte. Ma ho smesso di bere con la scusa di un’ulcera che non mi lascia in pace, e anche di fumare erba. Alla fine sto pure meglio, è molto più raro che mi venga il mal di testa. Stanotte sto rientrando a casa, ed è proprio una notte simile a quella dell’incidente. Naturale, il periodo è lo stesso, e i temporali si infilano nella vallata per sfogarsi sul fondo.
Stavolta guido con prudenza. Da quel giorno ho il terrore di vedermi sbucare qualcuno davanti all’improvviso, ma non è mai successo, neanche un gatto o una lepre. Però sobbalzo ad ogni ombra, credo che questa paura non mi abbandonerà mai.
Ecco, questo è il punto dove…
Ma cosa vedo? Una persona che cammina sotto la pioggia tenendo con una mano l’ombrello e con l’altra chiudendosi l’impermeabile?
E’ una donna, proprio come quella sera, la vedo sballottata dal vento sul bordo della strada. Non resisto e accosto. Faccio per abbassare il finestrino, poi invece aprò la portiera e l’invito ad entrare.
«Signora, dove va con questo tempo? Posso accompagnarla fino a…?»
Lei ha chiuso l’ombrello ed è salita in macchina senza una parola. E’ allora che vedo che nonostante la pioggia battente non è minimamente bagnata. Ma non ho tempo di notare altro: si volta verso di me, scostandosi dal viso i lunghi capelli neri e rivelando la figura di un orribile teschio, dalle cui vuote orbite sembrano brulicare degli insetti, o dei vermi.
«E’ tanto che ti aspetto,» mi dice, allargando le braccia scheletriche, «andiamo, abbiamo molta strada da fare insieme, questa notte.»