NON E’ COME SEMBRA di Ilaria Agostini
Ormai è inevitabile. Presto
i nodi verranno al pettine, e i miei scopriranno tutto. Non potrò mai
ottenere la laurea. E loro, che già si preparano a festeggiare – no, non
mio padre, che da uomo dedito alla Legge quale è, la considera cosa
dovuta – sapranno che sono solo un bugiardo, e un codardo. Mio padre
avrà la definitiva conferma per la sua più affermata intuizione: sono un
inetto. Un buono a nulla. Un indegno. Come ha sempre dichiarato
apertamente, lui che non commette mai errori. L’integerrimo. Il
superuomo. Questa volta mia madre non potrà far nulla per dissuaderlo a
tagliarmi i viveri. Addio festini con i miei pseudo-amici sanguisuga,
adieu vacanze in Costa Azzurra. Dimenticatele le serate in compagnia di
donne che la maggior parte dei poveri cristi possono forse vedere su
qualche copertina. E tutto questo per colpa di
Marie-iosonomiglioredituttivoi- Leblanque. La odio. Sì, io la odio di un
odio profondo. Dal momento in cui, guardandomi con sufficienza
frammista a disgusto, si è rifiutata di regalarmi quel diciotto. Atto
non poi così spregevole, a quanto pare, per tutti gli altri. Anzi, molti
suoi illustri colleghi mi han regalato ben più di un 18, sperando
forse, ingenuamente, di comprare così i favori di mio padre. Ha ha ha.
Mossa davvero inutile. Tutti, ma non lei. L’incorruttibile. L’amante del
giusto. L’intransigente. Mi guarda con un piccolo cenno di scontrosa
indifferenza ogni volta che, per sbaglio, incontra il mio sguardo. Come
quando ero costretto a partecipare ai salotti legali istituiti da mia
madre e da qualche altra moglie di illustre forense. Ero solo un
bambino, mi annoiavo, mi lamentavo e mio padre non perdeva occasione per
qualche insulto. Lei, una delle poche donne invitate non per via del
marito, ma per propri meriti personali, se ne stava a guardare. Mi
trattava già allora come fossi pattume maleodorante. Ed io la odio. E il
mio odio cresce, ad ogni incontro. Da subito, sono passati sei mesi da
quella bocciatura, ho iniziato a lavorare sul mio piano perfetto. La mia
vendetta. Che senza Marie lo avrei già in tasca quell’inutile pezzo di
carta. Che rappresenterebbe soprattutto, lo ammetto, un anelato momento
di pace per la mia povera madre. Mi sono anche chiesto se la megera non
avesse avuto all’epoca una relazione con mio padre, finita male.
Spiegherebbe le occhiate di disgusto che mi rivolgeva allora. E
l’accanimento di oggi. Se fosse stata abbandonata? Se si trattasse di
vendetta verso mio padre… sì, forse il tutto avrebbe più senso… Come se a
lui importasse qualcosa. Bah! Mio padre e Marie… che come se non
bastasse è anche molto bella. Meglio ancora, vendicherò anche mia madre,
non solo me stesso. Marie non potrà mai sospettare che le sto per
tendere un agguato, studiato e ragionato in modo eccelso. Sì hai capito
bene brutta strega. Stavolta anche tu, intransigente di una megera, mi
assegneresti un meritato trenta e lode. Dicevo, Madame Leblanque è
bella. Ma non quella bellezza da copertina, no, qualcosa di diverso, di
unico, di più profondo. Qualcosa di inspiegabile. Che far perdere il
senno. Ed è proprio per questa consapevolezza che il mio cervello si è
messo in moto. Ho trovato in un istante il colpevole del mio delitto. Il
capro espiatorio per la mia vendetta. Amir è un indianino timido e
taciturno, tutto codice e dedizione. Nessun amico, nessun parente. Da
come osserva la megera ho capito subito che nell’universo dei suoi
studenti è quello che ha la cotta più forte. Amir la ucciderà per
passione. Ed io otterrò la mia vendetta. Ho iniziato molto tempo fa ad
elaborare il mio piano. Non è stato facile incastrare tutti i tasselli,
ma credo proprio che ci siamo. L’ho seguita. Ho scoperto che la megera
frequenta più o meno alla luce del sole il professor Stevenson. Bella
coppia di cervelloni… mi danno il voltastomaco. Cosa strana, ogni
martedì i due colti piccioncini prendono una stanza all’Hilton. Si
godono una cena e poi se ne vanno in camera. Ed è proprio allora che
entrerà in scena Amir. Si presenterà al concierge e chiederà la chiave
elettronica della stanza di lei. E lui gliela consegnerà senza batter
ciglio quella chiave. Che così io avrò disposto, per email… o meglio
Marie lo avrà fatto… facendo intendere che Amir sia lì per un menàge a
trois. Motivo per cui si aspetta collaborazione e massima riservatezza
in merito. La lauta mancia che Ettore ha consegnato a nome della megera
al receptionist dovrebbe assicurarmi che non ci saranno problemi. E non
solo, Amir sarà obbligato a far registrare il suo bel documento. Amir ha
la mia costituzione. Più o meno la mia forza. Tutti crederanno che sarà
stato lui a far fuori i due amanti addormentati. E invece sarò stato
io. Io che grazie a quell’idiota di Ettore, che lavora qui, mi sono
procurato la divisa di cameriere ai piani dell’Hilton circa cinque mesi
fa. Io che in cambio gli ho fornito sovente qualche bel presente. Più
che altro cocaina, e di quella buona. Anche se decidessero di
interrogarlo è così bruciato che avrà già rimosso ogni cosa nel giro di
qualche ora. Io mi prenderò l’incarico di portare champagne ai due
amanti, ben prima dell’orario del loro arrivo. Mi nasconderò nel
guardaroba, pronto all’agguato. Amir aprirà la porta, loro urleranno,
lui fuggirà. Tutti noteranno la scena. E questo sarà possibile perché
sono circa sei mesi che mi lavoro Amir. Via email. O meglio lo fa Marie.
Celine, che legge la posta della megera, in quanto sua assistente, ha
una bella cotta per i mie soldi. Me la sono portata a cena e a letto,
l’ho fatta fumare e bere. È stato davvero facile ottenere quella
password. Da lì ho iniziato a scrivere per conto di Marie ad Amir. Ed è
iniziato un carteggio che pian piano si è fatto degno di un bel romanzo
rosa. Ma oggi a me interessa solo il nero. Da principio email
informative, poi sempre più personali. Alla fine, oh sì, Amir deve
essersela spassata alla grande… un piccolo godimento in mezzo alla
catastrofe che lo sta per centrare in pieno. Sia chiaro, non sono
razzista, e non ho nulla contro di lui poveretto… solo che mi serviva un
idiota da sacrificare.
IL GIORNO X:
Qualcosa è andato storto… O
meglio tutto sembrava filare liscio. Amir è arrivato. Hanno urlato, lui è
fuggito insultando la megera per benino. Questo mi ha reso un po’ più
solidale nei suoi confronti, insomma ho iniziato a dispiacermi per lui.
Quando dal guardaroba sono sgusciato nella notte, che i due si erano
addormentati – e senza neanche mezza effusione… cosa che, lo ammetto, mi
è sembrata ben strana – ho tirato fuori il mio cavo in fil di ferro.
Già mi pregustavo lo sguardo di terrore della megera stretta nel suo
cappio mortale. E invece, mi sono ritrovato Amir addosso, un piede sulla
testa e mani ammanettate dietro la schiena. Amir e il suo sguardo di
cinico trionfo che non gli avevo mai visto prima… altrimenti col cavolo
che lo avrei scelto! Voglio il mio avvocato. Sono fottuto. Di tanti
imbecilli che girano all’Università, io proprio Amir dovevo scegliere…
Amir l’nfiltrato, Amir lo specialotto, che … no, non era lì per me
inizialmente. Stava indagando, a sentir lui, su una vicenda che vede
l’Ateneo immischiato in questioni scabrose di esami comprati,
favoritismi e mazzette … è stato proprio lui a dirmelo, e questo suo
raccontare, lo ha reso molto molto allegro. I suoi occhi erano
sprezzanti. E anche quelli di mio padre di lì a poche ore. Quel piccolo
strafottente Sandokan deve aver capito subito che c’era qualcosa sotto
già alla prima email. Un bel colpo di fortuna. Un caso risolto prima del
delitto. L’aspirante assassino che ti viene a bussare alla porta per
raccontarti ogni cosa…. Ora Amir è un eroe. Ed io, come direbbe mio
padre, mi merito questa ennesima bocciatura. Ma almeno sarà l’ultima.
Voglio un avvocato, ma non mio padre ve ne prego.
EPILOGO:
Sono qui che aspetto il mio
avvocato. Ammanettato a questo tavolo. Lo specchio. iuuuhuuu guardate
che lo so che siete lì dietro, la guardo la tv, sapete? Si apre la
porta. Marie?… no… Mi si siede di fronte. Non ho coraggio di guardarla,
voglio il mio avvocato, ho chiesto il mio avvocato…
“Sono io il tuo avvocato”
“Cosa?”
“Sono io il tuo avvocato”
“Cosa?”
e per la prima volta la
guardo davvero. Ripercorro ogni istante. Capisco ogni cosa. Piango tutto
il pianto che non ho potuto versare nella mia infanzia e negli anni a
venire. Capisco che lo sguardo di disgusto non era verso di me, ma verso
mio padre. Per me c’è sempre stata solo pietà.
“Non ho potuto provare la gioia della maternità” mi dice “non potevo sopportare l’inettitudine con cui i tuoi ti stavano insegnando, o meglio non ti stavano insegnando a diventare un uomo. Mi dicevo che se quella fortuna fosse capitata a me, io ti avrei dato tutto. Non i soldi. Ma dedizione, attenzione, amore. Se sono qui è perché l’ho visto con i miei occhi che tu non hai avuto nulla di tutto questo. Se non ti ho promosso con un diciotto è perché io in te ho sempre creduto… Non avevo capito quanto male ti avessero fatto fino al giorno in cui hai… hai cercato di uccidermi”.
“…Io…”
“Ascolta, possiamo tentare la semi-infermità. Passerai un bel po’ di tempo qui, ma uscirai in tempo per rifarti una vita. Per viverne una degna di questo nome intendo. Nel mentre sei qui, hai tanto tempo per studiare, quello che vuoi, se non ami la Giurisprudenza puoi fare altro… predisporrò delle sedute di psicanalisi… ”
I suoi occhi mentre parla sono bellissimi. Lucidi. Ha lo sguardo risoluto e tenero. Lo sguardo e la dignità di una madre. Mai pentimento è stato più reale.
“…Io…”
“Lo so. Spesso non è come sembra”.
“Non ho potuto provare la gioia della maternità” mi dice “non potevo sopportare l’inettitudine con cui i tuoi ti stavano insegnando, o meglio non ti stavano insegnando a diventare un uomo. Mi dicevo che se quella fortuna fosse capitata a me, io ti avrei dato tutto. Non i soldi. Ma dedizione, attenzione, amore. Se sono qui è perché l’ho visto con i miei occhi che tu non hai avuto nulla di tutto questo. Se non ti ho promosso con un diciotto è perché io in te ho sempre creduto… Non avevo capito quanto male ti avessero fatto fino al giorno in cui hai… hai cercato di uccidermi”.
“…Io…”
“Ascolta, possiamo tentare la semi-infermità. Passerai un bel po’ di tempo qui, ma uscirai in tempo per rifarti una vita. Per viverne una degna di questo nome intendo. Nel mentre sei qui, hai tanto tempo per studiare, quello che vuoi, se non ami la Giurisprudenza puoi fare altro… predisporrò delle sedute di psicanalisi… ”
I suoi occhi mentre parla sono bellissimi. Lucidi. Ha lo sguardo risoluto e tenero. Lo sguardo e la dignità di una madre. Mai pentimento è stato più reale.
“…Io…”
“Lo so. Spesso non è come sembra”.